Care mamme (imprenditrici),
tanti auguri! …a tutte noi!
Sono diventata mamma da poco e questo ha comportato uno stravolgimento totale della quotidianità e qualche mese di assestamento dei nuovi equilibri.
In questa giornata scrivo principalmente a voi, pasticciere, titolari d’azienda, giornaliste, blogger e banconiste, che sapete cosa vuol dire affrontare un ambiente lavorativo molto competitivo e avere anche una famiglia.
Intendiamoci bene: nessun vittimismo. Non voglio dire che tutti gli uomini siano cattivi, che tutte le donne sono sante e martiri e che soltanto grazie a noi il mondo va avanti. Dico però, che nella nostra società, una donna che desidera lavorare e costruirsi una famiglia incontra oggettivamente molte più difficoltà di un uomo che abbia gli stessi obiettivi.
Qualche esempio?
Prima di tutto, per quanto mariti e compagni siano desiderosi di passare del giustificatissimo tempo a casa con i nuovi arrivati non hanno un congedo nemmeno lontanamente paragonabile alla maternità: al ruolo di padre viene riconosciuta soltanto qualche settimana al massimo, giusto il tempo di rendersi conto di quanti pannolini può sporcare un neonato o di quanto tempo può piangere ininterrottamente senza perdere la voce.
Così, ci si ritrova quasi subito sole per gran parte della giornata e se non si ha la fortuna come me di poter contare sul sostegno di una rete familiare, ci si deve rivolgere a strutture come asili nidi e baby-parking, quasi sempre private.
Le lavoratrici dipendenti possono contare sul congedo di maternità: qualche mese retribuito quasi al 100% dello stipendio, fino a un anno con lo stipendio molto più che dimezzato. E poi? Potrei riempire una pagina intera di questo blog con la lista di amiche, parenti e conoscenti che so per certo, dietro malcelate ridistribuzioni del personale o ristrutturazioni aziendali a causa delle peggiorate condizioni economiche – per non parlare delle motivazioni Covid - , essere state demansionate al loro ritorno a lavoro; donne a cui è stato tolto l’ufficio per essere riassegnato, madri a cui è stato detto “Finalmente sei tornata dalla tua vacanza”.
Qualcuno potrebbe obiettare: “Beh, tu sei imprenditrice, sei più fortunata!”. Davvero?
A noi partite iva non spetta il congedo di maternità vero e proprio ma soltanto cinque mesi retribuiti dall’Inps sulla base della paga minima prevista dal contratto nazionale della categoria a cui apparteniamo. Non importa se portate a casa tremila euro di stipendio o settecento, o se con tanto sudore e fatica mantenete tutta la famiglia: in quei mesi in cui vi occuperete a tempo pieno della vostra creatura percepirete ciò che lo Stato ha deciso per voi.
Non mi soffermo poi sulle gravidanze ad alto rischio o quelle durante le quali le future mamme abbiano necessità di stare a riposo perché in quei casi le garanzie e i supporti sono nulli.
Tempo pieno per la creatura dicevamo… già. Personalmente, ho dovuto pensare al lavoro anche in ospedale, e non perché volessi ma perché quando si è titolari d’azienda ci sono responsabilità che non si possono spartire con nessuno.
Sono stata molto fortunata e, a parte i primi due mesi di follia, mia figlia ha iniziato ad avere orari regolari e a dormire sempre per più ore la notte: questo mi ha permesso di organizzare il lavoro, seppur in maniera ridotta, riuscendo comunque a gestire quasi tutto ciò di cui mi sono sempre occupata (principalmente contabilità, marketing e rapporti con i fornitori).
Il fatto che riusciamo a organizzarci non vuol dire che non sia difficile e voi, care mamme, lo sapete benissimo. Il resto del mondo non lo sa, o forse lo sa ma non capisce realmente cosa vuol dire: cosa intendo?
La mia giornata tipo si articola più o meno così:
Sveglia ore 6 (fino a un mese e mezzo fa era alle 4.30). Scendo a preparare il biberon di Camilla (grazie a chi ha inventato il latte liquido già pronto!); torno in camera, la sveglio, le do la pappa. Dieci minuti in braccio per il ruttino, cambio pannolino e nanna di nuovo. Sono le 6.30 circa: saluto Simone che entra in pasticceria, provo a riposarmi ancora un’oretta, - se i pensieri della giornata non sono ancora pressanti -.
Ore 7.30. Mi alzo. Svuoto lavastoviglie e lavasciuga, sistemo i panni, faccio uscire il cane in giardino, mi lavo, mi vesto. Apro l’agenda e organizzo gli impegni.
Ore 8.30. Colazione (che fortuna vivere dall’altro lato della strada rispetto al luogo di lavoro che è anche una pasticceria!). Lavoro: fatture, preventivi per matrimoni, ordini del packaging, telefonate a fornitori e clienti, programmazione delle pubblicazioni sui social. Di solito non finisco mai prima che Camilla si svegli perciò cerco di risolvere le questioni che richiedono più concentrazione. Preparo il biberon, vado a svegliarla.
Ore 10.30. Camilla fa la pappa. La cambio, la vesto. Usciamo. Di solito passo in pasticceria a lasciare o prendere documenti, sistemo un po’ lo scaffale e le vetrine oppure lascio le commissioni per questa parte di giornata così da fare una bella passeggiata: versamenti in banca, ritiro ordini dal tipografo, commercialista, spesa, farmacia…
Ore 13. Gli adulti mangiano. Ore 14. La piccola mangia. Ore 15. Ora del riposino, in teoria: se Camilla collabora ho un’ora per finire i lavori iniziati la mattina, altrimenti ci coccoliamo e poi continuo a lavorare o sbrigo qualche faccenda di casa.
Ore 17, 17.30. La piccola si sveglia, mangia, gioca, cambio di pannolino o bagnetto e poi pisolino. Prepariamo la cena e se Camilla è tranquilla faccio la doccia. Spesso invio ancora qualche mail o faccio qualche telefonata.
Ore 20. Simone rientra a casa. Ore 20.30. Si cena. Ore 21. Pappa di Camilla e poi nanna.
Potrebbe sembrare una giornata quasi normale, un po’ frenetica certo, ma gestibile. Quello che ci fa arrivare esauste e stremate a fine giornata è il racconto che si nasconde dentro ogni singola ora. Facciamo due esempi?
Provi a scrivere una mail. Dal monitor vedi che la bambina si sveglia perciò corri in camera a metterle il ciuccio, torni alla scrivania, cerchi di finire la mail. Squilla il telefono, prendi l’agenda, concordi l’appuntamento, metti giù. Continui a scrivere la mail, la bambina si sveglia. Le dedichi tempo e la mail la scriverai ore dopo.
Oppure: la bambina gioca nel seggiolino, tra un lavoro e l’altro fai ripartire il carillon. Piange perché è stufa, così la prendi in braccio, giri per la stanza e lavori in piedi col telefono perché tutti i neonati hanno un sensore per quando provi anche solo a poggiare il sedere su una sedia. Si tranquillizza, la metti giù ma perde il ciuccio, si agita. Riprendi il pc, continui da dove ti sei interrotta, se ti ricordi, altrimenti perdi tempo a ritrovare il filo, tra un piagnucolio e l’altro.
Ho certamente esasperato la situazione; ho tralasciato volutamente tutti i momenti di gioco e di attività con i figli, i momenti della giornata in cui siamo in due a darci il cambio, le bellissime ore in cui si crea intimità in famiglia, perché il punto non è questo.
Il punto non è lamentarsi di quanto sia duro il mestiere di madre e nemmeno di quanto sia complicato lavorare da libere professioniste. È chiaro che sono entrambe scelte di vita libere e consapevoli e nessuna di noi vuole una medaglia al valore.
Dico soltanto che è difficile non poter contare su strutture e assistenze adeguate. Ci viene chiesto di mettere al mondo figli, possibilmente entro i trent’anni, ma non abbiamo stipendi adeguati o contratti validi che non ci lascino a casa quando annunciamo di essere incinte. Decidiamo di diventare lavoratrici indipendenti, paghiamo i contributi previdenziali, ma ci torna indietro soltanto qualche mese di stipendio; nessuna assicurazione, nessuna struttura che ci sostenga in quei mesi in cui ce ne sarebbe davvero bisogno. Nessuna agevolazione nemmeno se vogliamo assumere donne a nostra volta.
Pensateci. Quando direte “Auguri Mamma” oggi, pensateci.
Pensateci perché nessuno di noi ha scelto di venire al mondo ma se siamo in grado di camminare nel mondo è grazie alle mamme – e ai papà ovviamente - .
Pensateci perché anche la vostra mamma, almeno una volta, vi ha guardato dormire e ha pianto: di gioia per l’esplosione d’amore che c’è dentro di lei, o per la frustrazione al pensiero di non potervi dare ciò che meritate.
Pensateci perché, se
anche la vostra mamma vi ha cresciuto nella convinzione di poter essere e di poter far tutto, anche quando significa non rivolgersi la parola o discutere per scelte non condivise, dire “Auguri Mamma” oggi assume un vero valore.
Auguri a tutte le mamme del mondo.
Auguri a tutte le imprenditrici, mamme di tutte quelle famiglie che chiamiamo piccole imprese.
Auguri a tutte noi, fiere di essere – anche - mamme.

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